Thuy appoggiò il tubo di gomma
arrotolato, staccò dalla cintura la borraccia, stava per bere quando
sentì uno spostamento d'aria fra i capelli corvini e diritti,
orgoglio di ogni donna nata ad est del fiume Gange. Si voltò
tranquillamente verso il punto dove sarebbe arrivato lo sparo, ad un
paio di metri alla sua sinistra. Osservò la terra schizzare via, in
un istante capì come erano di sposti i cecchini palestinesi, e
solo allora si mise a correre in modo da divenire un bersaglio quanto
più ostico possibile. Il rumore del primo sparo le arrivò
alle orecchie una frazione di secondo prima di essere al riparo.
Non aveva nessuna arma con sé, quindi
rimase al riparo, mentre i suoi colleghi si preparavano a rispondere
al fuoco.
Al momento nessuno si era fatto male.
Adesso era un' ebrea. Stessa cosa che
essere annamiti: qualcuno ti spara addosso oppure non lo fa, per
ragioni che neanche vuoi iniziare a capire. Rimaneva alta un metro e
mezzo e con gli occhi neri come la notte più buia. Mentre i
proiettili fischiavano in entrambe le direzioni pensò amaramente:
“Son proprio arrivata a casa.”
Thuy veniva da un villaggio a qualche
decina di chilometri da Hanoi. Quando era piccola aveva sentito
parlare di orrende crea ture alte una tesa e mezza, con la
pelle rossa, gli occhi azzurri e i capelli gialli. Erano loro i
responsabili della periodica fumiga zione del suo villaggio.
Ora, volente o nolente era una di loro,
Parlava la loro lingua, sebbene ancora stentatamente, e ancora
qualcuno voleva distruggere il suo villaggio.
Le avessero solo dato un' arma.
Le avevano spiegato che era finita in
un popolo di agricoltori e ricercatori, che aborrisce il terrorismo
come deterrenza.
Mentre la battaglia infuriava si chiese
cosa intendessero dire: lei stessa era pure una contadina, ma aveva
sempre saputo che bisogna difendere la libertà con la massima
ferocia possibile dall'inizio.
Sapeva anche che quello era il motivo
per cui in quel momento non aveva un' arma.
Trovò la cosa piuttosto ridicola: i
contadini a sparare al nemico e lei, che era una guerriera, nascosta
come uno scarafaggio.
I nemici ancora non erano andati via.
Thuy si guardò intorno e vide uno dei
ragazzini del villaggio, armato di fucile, uscire dal proprio
nascondiglio. Era quello che aveva il padre in coma, pensò di
prenderlo e costringerlo a ripararsi, ma anche se era una donna molto
forte era molto più picco la di lui, non ci sarebbe mai
riuscita in tempo utile.
Il ragazzino cominciò ad avanzare
camminando, i proiettili gli passavano intorno, lui tranquillo
rispondeva al fuoco.
Con disappunto si chiese in vietnamita:
“Quello sarà un contadino o un ricercatore, da grande?”
Decise di lasciarsi prendere da un
decimo di secondo di sgomento, e a bassa voce mormorò: “se
diventerà mai grande.”
Ebbe un' idea per terminare la
battaglia. Raccolse da terra un sasso delle dimensioni di un limone e
lo mise nella sua borsa portaoggetti, si sciolse la coda di
cavallo per assumere un aspetto più intimidatorio e risoluto, quindi
scattò dal suo nascondiglio, e correndo descrisse un' ampia curva,
scartando spesso per spostare di colpo la propria figura da eventuali
linee di tiro.
I nemici erano a circa trecento metri
di distanza, nascosti dalle asperità del terreno, indecisi se
continuare a prendere di mira il ragazzo che si stava avvicinando o
Thuy, e resisi conto che questo sapeva usare il fucile molto meglio
di loro, interruppero il fuoco per ripararsi. Thuy se lo aspettava.
Senza smettere di correre prese dal
tascapane il sasso che aveva appena raccolto, e portandolo vicino
alla bocca mimò l'innesco di una bomba a mano.
Lanciò il sasso in aria con un ampio
movimento di tutto il corpo, che terminò in una capriola in aria.
Il sasso non avrebbe fatto neanche metà
strada, ma la vietnamita sperava che nella concitazione i nemici non
lo avrebbero rea lizzato in tempo.
Funzionò: i nemici si misero a correre
in direzioni diverse, Thuy completò il ruzzolone e si mise a correre
verso il ragazzo.
Questo prese la mira su uno dei nemici
e sparò, colpendolo ad una gamba.
“Un colpo fortunato” pensò Thuy,
riconoscendo il suono di un proiettile che si conficca nella carne
invece di rimbalzare contro il terreno o contro un sasso.
I nemici erano solo due.
Non aveva alcuna esperienza con i
palestinesi, non aveva idea di cosa avrebbe fatto l'altro.
Arrivata vicino al suo alleato gli
chiese se aveva un' arma secondaria, lui senza abbassare il fucile
rispose di no.
Thuy gli ordinò di consegnarle il
fucile e di correre a nascondersi, il ragazzo reagì all'ordine
imperioso e tranquillamente obbiettò che se lo avesse fatto
sarebbero stati colpiti tutti e due. Aveva senso.
Sentirono un altro sparo, ma Thuy non
riuscì a capire dove era diretto.
“Disgraziato, ha dato il colpo di
grazia al ferito.” Disse lui, appoggiando il fucile alla spalla con
noncuranza, come se nulla fos se successo. Si girò e si
incamminò verso gli altri.
“L' altro... è andato via.” Disse
Thuy. Prima imparava come ragionava il nemico più probabilità aveva
di sopravvivere a quella terra.
Si accodò al ragazzo e disse: “Ottima
azione, ma sei ancora troppo piccolo per queste cose.”
Il ragazzo rise, cercando di dare alla
risata un tono virile e riferendosi alla propria corporatura già
imponente nonostante avesse solo tredici anni disse: “Veramente
avevo paura di essere un bersaglio troppo agevole, grosso come sono!”
“Parlo della tua età, so che hai 13
anni.” Disse lei.
Lui si fermò, la guardò negli occhi e
la sfidò: “Mettimi alla prova, dai!”
Lei rise: “Sei troppo piccolo anche
per queste cose, e poi sono una donna sposata.” Il ragazzino, come
esige l'etichetta israeliana aggiunse una seconda battuta. Tre sono
molestia, una sola è offensiva nei confronti della donna, disse con
aria sconsolata: “Bè, hai detto prima che son troppo piccolo e poi
che sei sposata, quindi ci sono delle probabilità...” Sorrise.
L'inconsueto aspetto di Thuy attirava
troppo l'attenzione perché potesse essere lusingata dalle battute di
un ragazzino, e poi amava suo marito, secondo la logica vietnamita:
si erano sposati e pertanto lo amava e non lo avrebbe mai tradito.
I contadini israeliani cercando di
superare lo spavento deposero le armi (tenendole sempre a portata di
mano) si rimisero al la voro, fra poco sarebbero arrivati i
soldati, ad ispezionare la zona da cui i palestinesi avevano sparato,
ma l'esperienza aveva insegnato ai contadini che per quel
giorno non ci sarebbero stati altri problemi.
Anche il ragazzo prese in mano una
zappa.
Thuy gli chiese: “Ma stavi facendo
qualcosa?” In Vietnam le avevano insegnato che fra i bianchi i
bambini non lavorano fino ai venti o persino i trent'anni. Lui annuì:
“Logico” Si rimisero al lavoro, ma dopo pochi minuti il ragazzo
era molto pallido, suda va copiosamente, e perdeva saliva dalla
bocca aperta, si lasciò cadere in ginocchio, tenendosi la pancia.
Ora il suo volto era una maschera di
dolore, gli occhi gli lacrimavano, i compaesani se ne accorsero, uno
di loro gli chiese se fosse stato colpito da una fucilata.
Thuy intervenne e disse: “è tutto a
posto, è il furore che gli è entrato nel sangue.”
Andò verso di lui.
Il giovane ebreo percepì la presenza
di Thuy, si sentì un po meglio, lei si inginocchio, e disse: “è
solo una scarica di adrenalina, respira profondamente.”
Uno degli ebrei disse a Thuy: Sembra
che ti intendi di queste cose, ti spiacerebbe portarlo al
“dopolavoro” e stare un po' con lui? Qua ci arrangiamo noi. Thuy
annuì, e chiese al ragazzo se riuscisse a camminare.
Lui provò ad alzarsi in piedi, tremava
molto.
“Dai, appoggiati a me” disse Thuy.
E si incamminarono verso il dopolavoro.
“Che figura di merda, son quasi
paralizzato dal terrore” disse lui. Thuy escogitò una risposta
adeguata.
“Non pensarci, sei stato molto
coraggioso.” La vietnamita si astenne dal fargli notare che la sua
azione era stata superflua. Anzi, decise di dire una piccola bugia:
“Se la battaglia fosse durata più a lungo ci sarebbero potuti
essere degli altri feriti, forse persi no dei morti. Può darsi
che tu abbia salvato delle vite.”
“Io miravo ai piedi” disse lui.
“Quell'altro lo ha ammazzato per non lasciare che lo
interrogassero.”
Erano quasi arrivati Thuy disse: “Non
pensarci, o lui o qualcuno di noi, e poi non sapevi che il suo
compare gli avrebbe sparato in testa”
Gli chiese il nome, il ragazzo era
Yigal, destinato a diventare il terrificante guerriero noto come “Il
Konvitato”.
Thuy prese dal suo tascapane un telo di
polietilene e lo stese su una poltrona, e aiutò Yigal a sedersi.
Yigal pensò che Thuy avesse steso il
telo perché lui era sporco di terra, non si era reso conto di
essersela fatta addosso, né Thuy glie lo fece notare.
Invece andò dietro il banco, Yigal le
disse che non era in vena di bere del the, e aveva già capito che
Thuy non intendeva di cer to preparargli del caffè, nello
stato in cui lui si trovava.
Thuy, cercava qualcosa che stava in
basso, quindi era nascosta dal bancone e Yigal non aveva idea di cosa
lei stesse cercando.
Lei disse: “Probabilmente una bevanda
calda ti ucciderebbe, adesso.”
Tornò da lui con una bottiglia di rum
e un paio di bottiglie di coca-cola, infilate in due bicchieri.
Yigal non disse niente, neanche quando
Thuy gli palpò il braccio e versò una certa quantità di rum nel
bicchiere, per poi allun garlo con la coca-cola.
“Si chiama “Cuba libre”, si dice
che Fidel Castro non beva altro” disse porgendogli il bicchiere.
Lui prese in mano il bicchiere, e
vergognandosi della propria inesperienza le chiese se doveva seccarlo
in un fiato o sorseggiar lo, lei rispose che doveva fare come
gli sembrava meglio, mentre versava coca cola liscia nel proprio
bicchiere. Yigal le chiese perché non mettesse il rhum nella propria
bevanda.
Seguendo la filosofia per cui due
medicine sono meglio di una medicina, Thuy sorrise e disse: “Non
vorrei soccombere al fasci no dei tuoi occhi verdi.”
In effetti era chiaro che l'acerbo
Yigal sarebbe diventato un bel ragazzo e poi un bell'uomo. Ma la cosa
non la avrebbe mai ri guardata.
Prese una sedia e si sedette di fronte
a lui, e gli chiese: “Ho sentito che tuo padre sta male, come sta?”
Yigal guardò il proprio bicchiere: “è
in coma da sette anni, i palestinesi lo hanno torturato per giorni.”
ingollò un sorso e proseguì: “qualcuno è riuscito a
recuperarlo, era in fin di vita e incosciente, lo hanno medicato, ma
non è riuscito a svegliarsi.”
Thuy inclinò la testa e chiese:
“Riuscito? Ho capito bene?”
Yigal sospirò: “Si, ho detto la
parola “riuscito”” la tradusse in inglese, Thuy annuì.
Restò in silenzio qualche secondo, e
disse: “Vedi, mi sono convertita all'ebraismo per il matrimonio”
si fermò, Yigal attese qualche secondo, poi disse: “Non è certo
un mistero, la cosa ti da problemi? Ti assicuro che qui tutti ti
vogliono bene.”
Thuy si spiegò: “Lo so, non è
questo che volevo dire, è che sto cercando di capire cosa significa
la frase, sembra che svegliarsi da un coma profondo lo vedi come un
atto di volontà, e allora mi rendo conto che non conosco bene la
vostra cultura.”
Yigal rispose: “Non so se ha una
volontà e se avendola potrebbe manifestarla, ma qui preferiamo
pensare che chi è in coma ce la ha e che ha motivi ultraterreni per
non manifestarla decidendo di svegliarsi”
Thuy analizzò la nozione, e restituì:
“Non è la via più dura”
Yigal la informò sul fatto che suo
padre mostrava un' attività cerebrale molto intensa.
“I dottori dicono che il suo corpo è
guarito”
Thuy chiese in che misura. Yigal, ora
più tranquillo le disse: “Gli mancano dei pezzi, han dovuto
amputargli metà di
una mano” Mostrò la propria mano e
con l'altra la segnò ad indicare che alla mano sinistra di suo padre
ora mancavano anulare e mignolo “gli hanno rifatto i timpani, e
dicono che registrano i suoni, anche se è privo di un orecchio,
dubitano che potrà torna re a camminare, se si risvegliasse,
ed ha varie cicatrici sul corpo”
Thuy lo interruppe: “Da come le
descrivi non sono ferite letali, se vengono curate”
“Appunto” disse Yigal “Respira da
solo, e i medici dicono che il suo corpo funziona normalmente, e il
suo cervello non ha dan ni fisici, anzi, mostra un' attività
cerebrale molto intensa.”
Thuy si chiese cosa mai stesse sognando
quell'uomo, e si sorprese a domandarsi perché AVESSE DECISO di non
svegliarsi.
Non aveva capito subito le parole di
Yigal, ma aveva assimilato il pensiero per cui svegliarsi o non
svegliarsi era una decisione del malato.
Yigal, finito il suo cuba libre
appoggiò le mani ai braccioli della poltrona e sentenziò:
“Mi sento bene.”
“Decido io quando ti sentirai bene”
Thuy lo fulminò, il cambio di tono costrinse Yigal a rilassarsi
nella poltrona, Thuy gli preparò un altro cuba libre,
mettendoci molto meno Rhum, questa volta.
“La prossima volta che vai a trovarlo
mi porti con te?” gli chiese.
Yigal rispose: “Volentieri, ma perché
ti interessa? Non lo conosci, e non si muove affatto, devono
massaggiargli i muscoli perché altrimenti si
atrofizzerebbero.”
Thuy guardò fuori dalla finestra, e
disse: “Vorrei capire, vorrei vedere come è fatto un uomo che
decide di non svegliarsi, capire perché.”
Yigal fu sorpreso da come il punto di
vista della vietnamita fosse cambiato in quella breve conversazione.
Thuy disse: “tu vorresti rimetterti
subito al lavoro, nei campi. Sbagli a desiderare di rimetterti in
marcia mentre non stai ancora bene. Perché vuoi rimetterti subito al
lavoro?”
Yigal rispose: “Questo è ovvio, c'è
bisogno di tutto l'aiuto disponibile.”
Thuy annuì ad occhi chiusi, li riaprì,
e sporgendosi verso Yigal gli disse: “Ma se ti mettessi al lavoro
turbato, e non riuscissi a vincere il tuo turbamento, saresti più
efficiente che stando qui solo oggi, e i giorni successivi saresti
meno efficiente del solito, quindi ci sarebbe meno aiuto
disponibile.”
Yigal aveva ormai vinto il terrore, ma
alle parole della giovane donna il suo corpo si blocco, mentre la sua
mente rifletteva sulle parole e sulla loro saggezza.
“Dici che è questo quello che
pensa?” chiese, in una strana immobilità.
Thuy disse: “Non lo so, io stavo
parlando di te, non di lui. Se adesso tornassimo nei campi ci
rimanderebbero qui a riposare an cora un po'” fece una lunga
pausa e chiese: ”sbaglio?”
Yigal scosse semplicemente la testa,
per dirle che in effetti non si sbagliava. Desiderava mostrare ai
suoi fratelli che era forte, affidabile, ma se doveva pensare al
lavoro in sé, se voleva essere saggio oltre che coraggioso, doveva
ascoltarla.
Dopo circa mezz'ora lo invitò a farsi
una doccia e cambiarsi i vestiti, non c'era modo di farlo senza
fargli notare che si era pi sciato nei pantaloni, ma riuscì a
rassicurarlo sul fatto che è del tutto normale quando ci si trova in
una situazione come quella in cui si era messo. Yigal si rammaricò
del fatto che nei kibbutz non ci fossero più le docce miste da anni.
Thuy lo derise: “Nelle docce miste
non impari niente, ragazzino.”
Yigal le fece sapere: “Nella
tradizione ebraica si diventa maggiorenni a tredici anni”
Thuy ci pensò su, in effetti nel
kibbutz i ragazzini cominciavano molto presto a rendersi utili nei
campi, stabilivano autonoma mente la propria dieta alla mensa,
erano piuttosto autonomi.
Cambiati i vestiti, l'alcool fece
effetto, nel suo giovane corpo e Yigal lamentò un abbiocco funesto,
non aveva alcuna esperienza di intossicazione da alcool, era troppo
intorpidito per preoccuparsi, ma collegò quelle sensazioni alla
paura dello scontro. Thuy lo accompagnò al suo dormitorio. Yigal si
stendette e si addormentò subito, nonostante fosse solo pomeriggio
inoltrato. Thuy tornò ai campi.
Mentre si avvicinava alla propria zona
studiò le operazioni dei colleghi, per inserirsi nel meccanismo nel
modo più efficiente possibile.
Notò una pattuglia di soldati che
presidiava il limite esterno del campo, non era il caso di
disturbarli.
Andò pertanto sull'autocarro
dell'equipaggiamento, a prendere un sacchetto di valvole per gli
impianti di irrigazione, che sareb bero serviti ad una donna
che stava tagliando e allineando dei tubi di gomma.
La fermarono, e le chiesero come stesse
Yigal, lei li rassicurò sul fatto che si era addormentato
intorpidito dall'alcool, e che avrebbe recuperato lo shock anche
senza ulteriori attenzioni.
Colpita da un' ispirazione Thuy chiese
a loro se stessero bene, anche loro avevano combattuto per le proprie
vite, anche se non con la spregiudicatezza di Yigal e lei stessa.
(Lei si era esposta per salvare la vita a Yigal, se fossero stati
tutti al riparo avrebbe atteso insieme a loro l'intervento
dell'esercito)
Espresse il desiderio di rimettersi al
lavoro, visto che lei stava bene. Probabilmente era la persona che
stava meglio, fra i presen ti.
“Per l'amor di “J.B.” ” Disse
uno degli ebrei, rispettando la consuetudine di non nominare mai il
nome del loro dio. “Rilassati per oggi, ci farebbe star male vedere
che ti rimetti a lavorare” Thuy accettò la richiesta come
ragionevole, si limitò a portare le valvole dove andavano
installate, e si sedette nella cabina di un autocarro immersa in
chissà quali pensieri.
Qualche giorno dopo lei, Yigal e la
madre di Yigal andarono all'ospedale in cui era ricoverato il padre
di Yigal.
La madre di Yigal, Danielle, era nata
in Israele, da genitori tedeschi, mentre il padre era polacco.
Conosceva vagamente Thuy, la donna che
il direttore della scuola elementare in una città a pochi chilometri
dal kibbutz aveva sposato in Vietnam, Thuy lavorava in kibbutz e
dormiva a casa con il marito tre o quattro giorni alla settimana, a
seconda se fi niva di lavorare prima o dopo di poter prendere
l'ultimo autobus.
La guardò, la donna annamita non
arrivava ai quaranta chili di peso ed era carina come una bambola di
porcellana, dimostrava molto meno dei suoi ventitré anni. Le avevano
raccontato di come avesse affrontato dei terroristi palestinesi
correndo loro in contro disarmata, non riuscì proprio ad
associare un' azione tanto aggressiva a quella tranquilla e gentile
bambolina, provò una grande ammirazione per il coraggio della
piccola donna.
Danielle, chiese a Thuy se avesse
rimproverato a sufficienza Yigal per la sua bravata col fucile.
Thuy ci pensò un attimo, immaginò che
la yiddish moma, al contrario di come si sarebbe comportata una madre
annamita aves se rimproverato il figlio ogni minuto che lo
aveva avuto per le mani.
Tanto più considerando il fatto che,
come il marito di Thuy, quel giorno non si trovava al kibbutz, ed era
stata informata dell'ac caduto solo quando i contadini avevano
interrotto il proprio lavoro.
Optò per: “Daniela, Yigal ormai non
è più un bambino.”
Daniela glie lo concesse, ma disse: “Mi
preoccupa, un soldato deve anche pensare a sopravvivere”
Thuy ci pensò su e disse: “è
giusto.”
All'ospedale i medici ripeterono quello
che ripetevano da anni, Aaron, il padre di Yigal era in coma
profondo, la sua mente mo strava di sentire i suoni o
riconoscere le luci, ma non reagiva in alcun modo, il corpo poteva
tranquillamente funzionare autonomamente, le ferite erano
guarite, nel senso che non ne pregiudicavano la sopravvivenza.
Danielle e Yigal invitarono Aaron a
svegliarsi, a tornare alla vita, Thuy, appoggiando le mani al bordo
del letto, avvicinò le lab bra al buco dove prima c'era
l'orecchio di Aaron, e in vietnamita gli disse: “Tuo figlio ha
combattuto come un uomo coraggioso, ha mostrato compassione per il
nemico e preoccupazione per gli alleati, si è spaventato e si è
ripreso bene... è intelligente ed un bravo lavoratore, ed è anche
un bel ragazzo, puoi esserne fiero.” fece una pausa e concluse:
“Volevo dirtelo.”
Poi gli chiese: “Ti sveglierai in
tempo per salvare la mia anima?” nel dire questo appoggiò il pugno
chiuso sullo sterno.
Attese qualche secondo, come previsto
l'uomo in coma non mostrò nessuna reazione.
Come avevano detto i medici, il suono
gli arrivava al cervello dai timpani riparati chirurgicamente, ma la
sua mente non elabo rava lo stimolo in alcun modo.
Si allontanò e tornò dai familiari di
Aaron.
Danielle, pensando che avesse recitato
una preghiera buddista o taoista la ringraziò.